Falsa identità digitale

Dopo la prima intervista sull’identità digitale oggi prosegue l’appuntamento con la seconda intervista su questi temi all’Avv. Barbara Indovina. 

La scorsa volta ci hai parlato di identità digitale. La rete e i social network presentano account che non riflettono la vera identità di chi li utilizza. Quali sono le conseguenze di questo utilizzo improprio?

E’ molto più frequente di quanto non si pensi il fenomeno delle false dichiarazioni circa la propria identità sul web.

Innanzi tutto sono frequentissimi i casi di “sostituzione di persona”: ovvero, tenendo a mente il concetto che vi ho chiarito la scorsa volta di identità digitale, i casi nei quali si induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona. E’ quello che comunemente si chiama “furto di identità”: avete mai provato ad effettuare una ricerca su facebook digitando ad esempio “Louise Veronica Ciccone”? Ecco, non credo che dietro nessuno di quei profili si nasconda la cantante Madonna.

E’ intervenuta recentemente la Corte di Cassazione in relazione alla fattispecie di reato della sostituzione di persona affermando che il reato sia contestabile anche a chiunque, creando un falso profilo su un social network, con magari tanto di foto e informazioni personali, faccia credere di essere un’altra persona. Anche usurpando a taluno il “nick name” con il quale è identificato nelle comunicazioni perché in grado di contrassegnare una identità. E’ necessario che il fatto arrechi un danno alla vittima o un vantaggio per chi lo commette. La nozione di danno è sicuramente molto ampia: in astratto basterebbe, ad esempio, la pubblicazione del numero di telefono della vittima con conseguente violazione della riservatezza, o la lesione dell’immagine. Anche il vantaggio è inteso in senso molto ampio potendo comprendere anche solo una soddisfazione, ad esempio, della vanità dell’agente.

Questo vale solo per un’altra persona?

Sì, ma attenzione: l’utente spesso utilizza impropriamente i segni distintivi e altro materiale frutto di proprietà intellettuale di una persona giuridica; per millantare qualche qualifica ricoperta o incarico svolto si rischia di cagionare danni commerciali enormi. Magari utilizzando anche materiale coperto da copyright (è frequente che un utente pubblichi foto di grandi fotografi attribuendosene la paternità!).

Abbiamo già parlato di web reputation: le società investono ormai grandi risorse in attività di costante verifica della propria reputazione online e di quello che gli utenti dicono. Le bugie sul web hanno più che mai le gambe corte e possono costare moltissimo: bisogna ricordarsi, infatti, che tutto è pubblico e non è la stessa cosa che mentire durante un colloquio o appendere nella propria camera una foto di Steve McCurry narrando “di quel viaggio in Giordania”. La tutela del marchio e dell’immagine per molte aziende viene prima di tutto: con conseguente diritto di rivalersi contro i soggetti che li danneggino.

Abbiamo degli obblighi quando ci iscriviamo a una piattaforma?

Sì, sempre: forse non ci rendiamo conto che ogni volta che ci iscriviamo accettiamo delle condizioni (ho già parlato la scorsa volta dei ToS). Oltre a quello che dicevo pocanzi in relazione alla tutela della persona fisica e giuridica, e ai rischi che corriamo in sede penale e civile, non dobbiamo dimenticarci che quando accediamo ad una piattaforma (sia essa Facebook o LinkedIn, per esempio), usufruiamo gratuitamente di uno spazio del quale accettiamo le condizioni d’uso. Con tutto ciò che esse comportano (sul tema nickname e identità virtuali vi segnalo un articolo molto divertente, lo trovate qui). Ad esempio in pochi sanno (perché non si leggono quasi mai i Tos) che non si può utilizzare Facebook se non si hanno almeno 13 anni e neppure se si è stati condannati per “crimini sessuali”. Sempre su Facebook si deve registrare il proprio profilo personale con  la propria reale identità.

Non è possibile aggiungere su Linkedin persone che non si conoscono personalmente: provate a mettere “non conosco X” tra le opzioni quando si cerca di invitare un nuovo contatto, vi apparirà questo messaggio esaustivo.

LinkedIn_RichiestaConnessioneVersoSconosciuto

Ma soprattutto su LinkedIn non puoi mentire. Da contratto (ça va sans dire).

Barbara Indovina è avvocato penalista, docente di informatica giuridica presso l’Università Bocconi di Milano, relatrice a convegni in tema di sicurezza informatica e reati informatici e autrice di libri e articoli in tema di diritto penale dell’informatica, privacy, computer forensics e web 2.0. Potete anche seguirla su Twitter @barbaraindovina.

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2 comments on “Falsa identità digitale

  1. Simona ha detto:

    Io gestisco due blog insieme ad una mia amica e su Facebook, abbiamo un profilo utente condiviso e che riporta il nome (senza cognome) di entrambe seguito dalla dicitura “Le Blogger”.
    Riconosco il fatto che la “non vera” identità vada a discapito nostro ed a volte ci siano dei dubbi su chi sia dall’altra parte del monitor, ma come potevo fare altrimenti?

    Grazie.
    Simona

    1. Barbara Indovina ha detto:

      Cara Simona, non dimentichiamoci che da sempre i grandi scrittori, o alcuni poeti, o persino pittori, usavano uno pseudonimo, un nome d’arte o altro… perchè non dovremmo farlo anche nel web? Non c’è mai nulla di giusto o sbagliato. Credo che le policy di siti siano relative anche al tipo di servizio offerto. Come vogliamo esprimere il nostro io nel web, nel bene o nel male, sta solo a noi! Un caro saluto, Barbara

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